Negli ultimi anni la popolazione dei cinghiali è aumentata in modo smisurato, evidenza emersa senza bisogno di alcun censimento o studio “scientifico” che lo dimostri.
Infatti ad eccezione dei parchi, dove i cinghiali si contano ma non si toccano, sul resto del territorio non esiste un piano di monitoraggio ne per questa specie ne per le altre.
L’aumento incontrastato del “Re del bosco” ha costretto l’Assessorato all’Ambiente, in accordo con quello all’Agricoltura e della Sanità, a promuovere delle iniziative volte al contenimento dell’ungulato; come noto una di queste è stato consentire il suo abbattimento anche di giovedì, durante la stagione venatoria alle porte, al fine di ridimensionare la presenza di questo mammifero razziatore di colture, causa di ormai troppi incidenti stradali e danni alle proprietà private, dall’insostenibile impatto ambientale.
I risarcimenti per danni stanno inoltre diventando l’unica voce di spesa che vede impiegati i contributi versati dai cacciatori.
Fermo restando che il problema del sovrannumero esiste e va affrontato in modo deciso, imponendo la riduzione del numero di cinghiali, ci sentiamo in dovere di proporre soluzioni alternative che non turbino gli equilibri di una pratica venatoria che coinvolge tanti appassionati.
Nelle realtà rurali la caccia grossa costituisce infatti uno dei più ricorrenti argomenti di discussione che tiene impegnati i componenti delle varie compagnie in convivialità, appassionanti scambi di opinioni e strategie per tutto l’arco dell’anno.
È pertanto un dovere, sia nostro come Associazione Venatoria che di chi ci governa, ascoltare le voci di dissenso che si stanno sollevando da ogni dove e dalle quali si rileva come l’organizzazione delle battute di caccia grossa, anche di giovedì, vada solo a modificare pesantemente un insieme di equilibri e di tradizioni da salvaguardare e possa peraltro risultare inefficace per il contenimento della specie, vuoi per il poco tempo a disposizione tra una giornata e l’atra, vuoi per l’esiguo numero di partecipanti che ne vanificherebbe il risultato.
Con questa visione, già evidenziata in sede di comitato faunistico con il nostro voto contrario alle battute infrasettimanali, ci sentiamo in dovere, come Associazione di categoria, di proporre soluzioni diverse quali l’utilizzo delle deroghe o di coadiutori che, previo censimento, consentono di ridimensionare la popolazione di cinghiali senza rischiarne lo sterminio praticamente incontrollato e, non ultimo, consentirne finalmente l’abbattimento, anche con metodi tradizionali, all’interno delle aree protette (che ormai proteggono solo cinghiali).
È apprezzabile il principio con cui la Regione finalmente riconosce nei cacciatori una risorsa per la gestione ambientale, ma è necessario considerare che la caccia, in tutte le sue espressioni, è una attività che si fonda su tradizioni, cultura rurale e veri e propri stili di vita. Se venissero a mancare queste componenti si rischia di ridurla ad una inutile pratica di macelleria.
Gian Paolo De Bei
U.C.S.